? Tra…boni e cattivi | Pagina 92

Che delusione il Sud della Laurito

La serata a teatro è stata sì piacevole, ma per la bella gente incontrata prima, durante e dopo, e le folate di aria fresca dalle alture ciociare. Perché poi, di teatro, s’è visto davvero pochino. Non certo per demerito dell’ iniziativa “Teatro tra le porte” (una rassegna all’aperto e gratuita voluta dal Comune di Frosinone anche come rilancio del centro storico) quanto piuttosto per il fatto che lo spettacolo proposto ier sera ha davvero deluso le aspettative: “Nuie simmo d’o’ Sud” con Marisa Laurito ha “regalato” un’oretta di noia e pochi spunti artistici, a parte l’esibizione di Charlie Cannon, artista dell’Alabama da decenni in Italia (ha scritto anche per grandi cantanti ed è stato vocalist dell’ultimo tour europeo dei Platters) che da spalla dell’artista napoletana in realtà in diversi frangenti è andato a prendersi tutta la meritata scena.

Lo spettacolo si proponeva come un viaggio nel Sud d’Italia – forse anche con la pretesa di investire i Sud del mondo – attraverso canzoni e monologhi della Laurito, tra la strabordante canzone napoletana e contaminazioni d’oltre Oceano Ma, fatto salvo il giusto e commosso tributo all’amico di sempre Luciano De Crescenzo, la signora Laurito è apparsa giù di tono, complice anche una scenografia misera; immaginiamo che lo spettacolo “vero” abbia un’orchestra e qualche cambio di scena, ma ieri sera, oltre alla Laurito e a Cannon, sul palco solo il bravo Maestro Marco Persichetti al pianoforte.

La Laurito ha cantato dall’inizio alla fine, ma forse senza scaldare la voce, il cui timbro – peraltro impostato ma non originalissimo – ha dato il meglio solo dopo una mezzora abbondante di repertorio.

Anche i – pochi – testi, sono sembrati di una scontatezza unica e di una povertà lessicale a tratti anche imbarazzante per chi stava lì ad ascoltare. Testi che peraltro sia la Laurito che Cannon hanno fatto mostra di leggere continuamente, forse perché lo spettacolo non veniva rappresentato da tempo, per ammissione della stessa artista napoletana. L’impressione di chi scrive è che lo spettacolo non si sia neppure immerso nel contesto in cui è stato rappresentato: certo, non sei tenuto a sapere che Frosinone pullula di lavanderie a gettone, ma se mi fai la battuta sui panni stesi, poi ti tieni il silenzio glaciale che ne consegue (stesso dicasi per le battute sul calcio, che almeno hanno risparmiato ai presenti il coretto del Maradona è meglio ‘e Pelè).

Altri due esempi: il “pistolotto” iniziale sui luoghi comuni del Sud, lodevole nelle intenzioni, è stato un susseguirsi di… luoghi comuni. E l’intermezzo dedicato al grande Luciano De Cresenzo, con una miscellanea di citazioni e battute divertenti, è andato a pescare nello scontato e strasentito.

Il numeroso e inizialmente ben disposto pubblico, lo abbiamo visto andar via in gran parte deluso, dopo essersi raramente (diciamo 100-150 spettatori su quasi duemila presenti) lasciato trascinare dai battimani sui motivetti più noti del repertorio napoletano.

Ovviamente la signora Marisa, fermo restando che con la sua carriera non ha bisogno di dimostrare niente, merita una prova e un spettacolo d’appello. Magari ne riparliamo a “Teatro tra le porte” del 2020.

 

Rime, pagliaccio

E’ sempre troppo poco

quest’ultimo mio gioco:

spengo tutte le fiamme

ma rimane sempre il fuoco.

 

Riprendo a camminare, nella vita

col fuoco tra le dita:

e faccio strane facce

all’anima sopita.

 

E se il fuoco lo spengo col ghiaccio?

Provo, dopo stagioni all’addiaccio

Ma è finale di fiaba inventata

E mi ritrovo, al solito, pagliaccio.

 

(luglio 2019, terra di Ciociaria)

La quiete dopo la nostalgia di certe nostre estati

Se amate il surf, questo libro è il migliore in circolazione (ammesso che ne esistano altri di romanzi con il surf al centro); se – come il sottoscritto – di surf non sapete un accidenti, e tutto sommato non vi appassiona neppure il recuperare i decenni perduti in materia, e però amate i libri di un certo livello, allora questo “Molto mossi gli altri mari”, di Francesco Longo (edito da Bollati Boringhieri) è imperdibile. Perché il livello di scrittura è veramente alto e cavalcherete l’onda di questa storia (a ridaje col surf…) con un piacere crescente, e da una buona metà in poi delle 176 pagine non vedrete l’ora di andare alla pagina successiva per seguire il dipanarsi dei personaggi. Che poi sono essenzialmente due, con un bel contorno di amici: Michele, il ragazzo che vive tutte le stagioni a Santa Virginia, la baia ideale per fare surf, e Micol, la bellissima ragazza che invece piomba solo in estate dalla grande città in cui abita. E neppure tutte le estati, riempiendo quindi la vita di Michele di un filo sottile di nostalgia, di una malinconia struggente che Longo (già apprezzato scrittore di un reportage sulle e dalle isole Eolie, pubblicato nella “Contromano” di Laterza) scrive e trasmette al lettore, mentre sulla baia di Santa Virginia sta per abbattersi una tempesta senza precedenti.

Qui il gioco di parole può sembrare facile, ma davvero quella di Michele e Micol è (anche) una tempesta di sentimenti, di detto e non detto, di avvicinamenti di corpi e anime sempre destinati a rimanere però un po’ distanti.

Le estati di Michele e Micol – e dei loro amici, bravi nel surf e un po’ meno con i sentimenti – riproiettano il lettore al tempo magico di chissà quante stagioni fa. Perché ognuno di noi – a Terracina come a Forte dei Marmi o a Gallipoli – avrà di sicuro vissuto una, due o dieci estati così: a fare il filo a una ragazza senza che questa neppure se ne accorgesse, a sperare di incontrare almeno lo sguardo (ma spesso era solo il fumo della Vespa) di quel ragazzo.

Il tempo, così facendo, ha giocato con noi, c’è poco da fare. E ha pure vinto. E Francesco Longo ha la capacità, pagina dopo pagina, di ricordarcela tutta questa verità. Soprattutto nel finale ad effetto (e che ovviamente non sveleremo).

Assieme alla nostalgia, c’è anche il rimpianto (o magari sono la stessa cosa?) di quello che avrebbe potuto essere di una stagione della vita, e di tutte le altre. Perché Michele da Santa Virginia non andrà mai via, perché Micol forse ne capirà la ragione, ma i due non si incontreranno mai del tutto. E allora, la nostalgia o il rimpianto o come volete chiamare quel “sentimento” che ci fa star male e che pure cerchiamo con insistenza, trovano asilo in queste pagine. Come solo in un bel libro può succedere.