Sanità a misura d’uomo

L’altra faccia della Sanità è quella rappresentata dagli istituti socio-sanitari religiosi: a misura d’uomo, attenta alla persona e al malato, come emerso dall’assemblea di ieri dell’Aris, di cui oggi provo a scrivere su Avvenire.

Un incontro utile anche per tornare a far emergere, da parte dell’Ufficio pastorale per la pastorale sanitaria della Cei, la posizione della Chiesa su alcuni temi di stretta attualità, dal fine vita alla tutela della vita nascente.

Eremiti: altro che fuori dal mondo

Gli eremiti mi ricordano tanto le monache di clausura: il loro pregare è essenziale per la Chiesa, per i cristiani, per il mondo intero.

Dicono che sono persone fuori dal mondo, ma è una diceria, è un dato basato  solo sull’apparente: il silenzio, il nascondimento, la preghiera per l’appunto, consentono loro di essere “nel mondo” molto più di noi.

E sul settimanale “Credere” provo a raccontare la storia di don Raffaele Busnelli, il parroco che ha deciso di farsi eremita, scegliendo così una vocazione nella vocazione.

Vicini ai preti (e ai preti della “vicinanza”)

Come laici siamo chiamati ad essere vicini ai nostri preti, in particolare – per il ruolo che svolgono – ai parroci. Anche per questo su “Anagni-Alatri Uno”, il mensile di questa comunità ecclesiale che ho il piacere di dirigere, da due mesi ho iniziato la rubrica “Vita da parroco”. E questo mese ho incontrato don Francesco Frusone, parroco a Morolo e in assoluto il più giovane parroco come età (32 anni) di tutta la diocesi. Ecco il racconto di questo incontro…

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La seconda tappa del nostro viaggio “Vita da parroco” ci porta a Morolo, 3200 abitanti alle falde dei monti Lepini e che la leggenda vuole fondata da Annibale, che da queste parti passò attorno al 200 avanti Cristo per poi dirigersi verso Roma, con intenzioni poco amichevoli. Il nucleo storico del paese è dominato dalla chiesa di Santa Maria Assunta, con le caratteristiche due scalinate e la statua di San Francesco che richiama l’opera dello scultore Ernesto Biondi, gloria locale.

Qui è parroco don Francesco Frusone che, con i suoi 32 anni, è il più giovane parroco della diocesi di Anagni-Alatri. Arriva da Pignano, popolosa contrada di Alatri, e ha appena festeggiato i due anni di presenza a Morolo, dopo che nei tre anni successivi all’ordinazione del 2013 era stato invece vice parroco a Civita di Alatri.

Ma cosa ha signifcato per un giovane prete diventare parroco così… giovane? <Era un momento desiderato – prende a raccontare don Francesco – è come quando diventi maggiorenne e non vedi l’ora di prendere la patente. Ho sentito gioia, entusiasmo, ma anche la preoccupazione delle tante cose da fare, il mio desiderio di arrivare a tutti, il confrontarmi con i miei limiti e difetti. A Morolo sono stato accolto bene dal… terzo giorno – scherza don Francesco – perché un po’ di scetticismo iniziale era comprensibile, anche perché in paese si erano alternati diversi preti, poi andati via, anche stranieri. Ma dopo due giorni mi sono sentito dire: “Ecco un prete che parla il dialetto come noi” e sono stato accolto dal cuore grande della gente di Morolo, che è davvero generosa in tutto quello che fa. Praticamente ogni famiglia mi ha invitato a cena e sono subito ingrassato di dieci chili!>. In un paese neppure tanto piccolo, le urgenze pastorali non mancano. <Penso a quella della formazione – sottolinea don Francesco – all’urgenza di rendere tutti consapevoli e partecipi dell’azione pastorale. Penso ai giovani e per loro vorrei trovare sempre più attenzione. Ci sono 60 bambini della comunione e 30 della cresima e un bel gruppetto del post cresima che cerco di seguire con degli incontri a tema. Ma la cosa più importante credo sia la mia vicinanza, stare con loro anche in maniera semplice, ma starci>, aggiunge in maniera accalorata, mentre non a caso, dal tavolino del bar della nostra chiacchierata, ogni tanto deve alzarsi proprio per salutare questo o quel ragazzo, una coppia o una giovane mamma.

Morolo, poi, è un paese che, come tanti, vive lo svuotamento del centro storico. <Molta gente – rimarca don Frusone – si sposta nelle campagne, quasi non si distingue più il confine con gli altri paesi. In centro sono rimaste 300 famiglie e allora non è semplice l’azione pastorale, penso al momento delle benedizioni, ma anche questa è una sfida per me perché sono chiamato a stare comunque con queste persone, in tutti i luoghi dove si trovano, con una vicinanza che vuole essere anche umana. E qui mi riallaccio al discorso dei giovani: è questa la Chiesa che vuole papa Francesco, è questo che ci chiede il nostro vescovo Lorenzo. Una Chiesa accogliente>. E “accoglienza” è il termine che questo giovane parroco, dall’aspetto e dai modi che trasmettono una naturale simpatia, ripete più volte durante la chiacchierata. <Verso i giovani – riprende don Francesco – serve vicinanza, serve frequentare i luoghi che loro frequentano, diventare amici, compagni di viaggio. Chiedono una Chiesa vicina a loro. Se invece fai solo mille incontri, non vai da nessuna parte>. Don Francesco, invece, ha ben chiara quella che è la sua “direzione”, fin da quando bambino giocava nelle campagne di Pignano e i suoi decisero di mandarlo nel seminario minore per farlo studiare; e lì è nata ed è maturata la sua vocazione <e la mia famiglia è stata importante perché mi ha trasmesso la fede, anche se poi  non è stato facile accettare che l’unico figlio maschio  (ha due sorelle, ndr) diventasse prete…>, sorride don Francesco, pronto per un’altra giornata da parroco a Morolo, intervallata per tre mattine alla settimana dall’insegnamento al Bonifacio VIII di Anagni. <Anche la scuola la metto al centro, perché ti fa sperimentare dove sono i ragazzi, ti fa lavorare con loro e per loro, come ripete il nostro vescovo. Per me prete è anche importante il contatto con le famiglie dei ragazzi, capire le loro esigenze. E questo poi mi aiuta nella pastorale di tutti i giorni proprio con le famiglie, a dialogare, ad entrare in sintonia con loro>, conclude don Francesco, tornando a quella parolina “magica” ed efficace: vicinanza.

Il riflesso

ECCO L’EDITORIALE DELL’ULTIMO NUMERO DI “ANAGNI-ALATRI UNO”, IL MENSILE DELLA DIOCESI DI ANAGNI-ALATRI CHE HO L’ONORE DI COORDINARE

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Sinodo dei giovani e convegno ecclesiale della diocesi di Anagni-Alatri: l’accostamento tra “le cose di Chiesa” più forti di queste ultime settimane non è ardito e, anzi, è il riflesso della Chiesa universale che si specchia in quelle locali, e viceversa. Un riflesso che ci piace assai, che ci fa sentire sempre più Chiesa.

Al centro, dell’uno come dell’altro evento, i giovani: non il giovanilismo fine a se stesso, l’inseguire mode – e modi – che non sono proprie della Chiesa, ma una riflessione acuta, seria e di prospettiva su un mondo che chiama e interpella, oggi più che mai. Che non ammette mezze misure, che non tollera scorciatoie, che non vuol sentire parole a vanvera.

La prospettiva è tutta nelle risposte da dare, senza perdere altro tempo, senza sprecare l’occasione di questo tempo, data proprio dal fatto che le giovani generazioni hanno bisogno di punti di riferimento, di non sentirsi abbandonate. Di avere, in sintesi, dei compagni di viaggio affidabili e instancabili. In questo senso gli “uomini di Chiesa” possono dare e fare tanto. E allora, ci permettiamo di dirlo da laici consapevoli, la prospettiva diventa anche quella di un impegno vocazionale che allarghi gli orizzonti di questi giovani e dia loro quei compagni di viaggio di cui necessitano.

Fuor di metafora: non possono mancare santi sacerdoti che accompagnino questi ragazzi nel cammino di una vita che dall’incerto deve poi poggiare sul certo. Vanno bene tutti gli incontri, le riunioni, i raduni, le vacanze, gli oratori di questo mondo, ma se i nostri ragazzi dentro ognuno di questi momenti non trovano un sacerdote, il rischio di smarrire la bussola – o di non trovarla per niente – è grande. E’ un po’ quello che già stiamo conoscendo noi adulti, sempre più simili al protagonista della canzone di Celentano che in estate si ritrova <senza un prete per chiacchierar>. E si fa subito autunno, inverno.

Anche come Chiesa locale siamo invitati a fare qualcosa e di più. E così diventano essenziali la preghiera (<pregate il padrone della messe…> e la vicinanza ai preti (non di rado invece siamo loro “vicini” solo con le maldicenze).