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Della malinconia e dell’ironia

di Alfonso Cardamone

(a proposito delle Isole di Igor Traboni)

 Isole. Come dire, basta la parola. Basta pensarla. Magari sillabarla: I-so-le. E sono subito evocazioni. Il mare, il viaggiare per mare, l’avventura per eccellenza, senso di liberazione, voglia di libertà, cesoia frattura con quanto (di consuetudine, di noia, di sconfitta, di malinconia) ci si lascia dietro, sul continente del nostro vivere quotidiano. Ma anche delusione, isolamento, solitudine, addirittura insolitudine (e mi torna in mente, con un brivido di emozione, un fascicolo di Dismisura di tanto tempo fa che dedicammo a questo straordinario lemma/concetto di inusitato conio). Archetipicamente poi Isola rinvia (in senso letterario), a Ogigia, la fatidica, duplice isola, simbolo ad un tempo del nascondere e dell’essere nascosto, fascino e maledizione ad un tempo, promessa di vita eterna e condanna alla nullificazione di sé.

Tutto questo c’è, e molto di più, nella bella raccolta di poesie, Isole appunto, che Igor Traboni ha di recente pubblicato per l’editore ensemble.

Igor gioca da par suo, lui giornalista raffinato, ma soprattutto poeta di razza, nel mare di fertili ambiguità (e la Poesia, che è esperienza di una forma particolare di conoscenza, una conoscenza estetica, quanto più si avvicina al suo ideale tanto più si fa polisensa) veicolate ed evocate dalle suggestioni di Isole che sono sì luoghi geografici, fisici (puntualmente indicati dall’autore nei sottotili), ma soprattutto emblematici luoghi dell’anima.

Luoghi abitati dalla malinconia, dalla tristezza, dalla solitudine:

Ostinatamente sole / le ore, nude a tratti (“I-sole”).

Anche quando, come nella poesia di apertura (“Provincia”), sembra farsi luogo alla serenità che hai dentro, ecco che questa viene definita subito dopo strana, improbabile, anomala come  un fiocco di neve caduto da un cielo terso, e tu (il poeta si rivolge a se stesso) Riaffacci il viso nelle tue pozzanghere, cosicché tutto torna ad essere meravigliosamente uguale. Dove mette conto rilevare che la clausola ironica che si esprime in quel meravigliosamente uguale porta con sé una carica di amarezza perdutamente senza scampo.

Paradigmatica di una condizione umana esistenziale (e poetica, perché qui si tratta di una poesia che proprio della dichiarata esilità fa la sua grandezza), che oscilla tra il dire e il non dire, tra amori perduti e amori auspicati, a cui si nega la stessa speranza, è “Amori tra le dita”, a mio parere una delle composizioni più belle dell’intera silloge.

Calci in faccia,

solo di stracci resta traccia.

Che poi questa vita

mi scivola dalle dita

Intanto ogni giorno che vorrei mio

poi è già un addio

(e faccio rime banali:

per dare alla poesia

sguardi tali e quali

all’amore che ora è amnesia)

 Tutta la poetica di Igor è compresa/compressa in questa poesia: il senso doloroso di fallimento, l’insignificanza del tempo ripetitivo e vuoto, lo smarrimento di fronte all’amore ridotto ad amnesia. E c’è l’irrompere formidabile eversivo dell’ironia. Ho usato intenzionalmente il termine, apparentemente paradossale, “formidabile” a fronte di un testo che sfrontatamente autodefinisce le proprie rime banali, perché qui l’ambiguità, che è proprietà -abbiamo detto-  intrinseca alla Poesia, raggiunge un apice difficilmente immaginabile: quelle rime banali certificano, come in un secondo testo, quasi un sottotesto, non solo l’amore immenso ed il rispetto profondo che l’autore nutre per la Poesia, ma al tempo stesso rendono omaggio alla propria poesia che,  proprio mentre dichiara di volersi conformare a quell’amore che è amnesia, celebra la sua forza, la sua duttile energia. Qui sta il geniale ribaltamento dell’ironia.

Altro che rime banali!

giugno 2020

FINISCONO LE POESIE

Libri di scuola sbertucciati negli scatoloni

Vecchie canzoni che stornelli solo tu

Pure gli amori se ne sono andati via

E le figurine di una piazza nessuno colleziona più

Ritagli di giornale nella mente, offuscata di sigarette altrui

e ore nel sonno, di sonno perse.

Potrei ricordare altro, se altri avessero uguale desiderio.

E camminare ancora, ma l’àncora mai gettata

è ancora lì, sulla barca ondeggiante di paure

(queste sì ritrovate).

Fissi lo sguardo, assassino di troppi volti:

neanche le voci sono le stesse, silenziate

nei viali sdrucciolevoli del cimitero di paese.

I sogni diventano illeciti adesso

arruffati nei capelli radi:

parole smarrite, e mica le ritrovo

nelle tasche di taccuini e cappotti fuori moda.

Delle partite perse senza giocare

manca l’applauso finale

di tanto correre, inseguito da parole

che inseguivo.

Quei santi della porta accanto

 

“Santi della porta accanto” è il titolo di una bellissima mostra itinerante che da alcune settimane sta girando l’Italia, appassionando migliaia di giovani che si ritrovano proprio nei protagonisti della mostra: giovani come loro. L’iniziativa è stata ideata e curata da Gerolamo Fazzini, giornalista consulente di direzione per il settimanale “Credere” e il mensile “Jesus” e autore di vari libri tradotti anche all’estero (l’ultimo è “Francesco, il Papa delle prime volte”, con Stefano Femminis, Edizioni San Paolo).

E proprio a Fazzini ci siamo rivolti per saperne di più : <L’idea nasce dall’avvicinarsi del Sinodo dei vescovi sui giovani, ma anche dalla scoperta e riscoperta, insieme ad alcuni colleghi, di figure di giovani Beati o in odore di santità. Si tratta di 24 profili, alcuni abbastanza noti, come il giudice ragazzino Rosario Livatino, il piemontese Pier Giorgio Frassati o Carlo Acutis, altri invece poco conosciuti, come Marco Gallo, brianzolo, investito da un’auto, o la violinista Carlotta Nobile, morta di cancro>.

La mostra continua a ricevere prenotazioni da tutta Italia, ma i giovani che l’hanno già vista, cosa provano? <In genere – risponde Fazzini – restano colpiti dal fatto di trovare giovani come loro, vicini a loro, anche per un fatto anagrafico, visto che le storie sono anche di pochi anni fa. Quindi, vestiti come loro, con gli stessi interessi e aspettative, gli stessi hobby. Giovani che hanno fatto cose normali. Scatta quindi anche un moto di identificazione e alla fine li sentono come amici di sempre, santi della porta accanto>.

Tutte storie belle e importanti, ma ce n’è qualcuna che più delle altre ha toccato il curatore della mostra? <Direi due – fa sapere Fazzini – Quella di  suor Clare Crockett, nata nel 1982, missionaria irlandese in Ecuador, morta durante un terremoto nel 2016. La storia strepitosa di una ragazza che beveva, andava in discoteca, aveva anche la bellezza dalla sua, e poi diventa suora. Voleva diventare famosa, lei che già era una piccola star della tv inglese, ma lo diventa per altre strade. Lei che voleva fare l’attrice, adesso ha un film, dal titolo “O tutto o niente”, dedicato alla sua storia dalle consorelle Serve del Focolare della Madre. E poi c’è la storia di Carlotta Nobile, affermata violinista, colpita dal cancro e morta nel 2013, a soli 25 anni. La sua, di una giovane cresciuta in una famiglia atea, è una straordinaria storia di conversione, di una fede scoperta grazie a papa Francesco, dopo una lettera scritta al pontefice>.

La mostra presenta dunque storie di laici, ma anche di religiosi e, proprio in riferimento al Sinodo, è anche una storia di vocazioni. <Questo aspetto – conclude Fazzini – lo abbiamo di certo toccato ma non enfatizzato, perché la mostra parla a tutti, e a tutte le vocazioni, da quella al sacerdozio a quella matrimoniale>.

Realizzata in più copie e in varie modalità facilmente allestibili (in pratica ci sono 4 copie diverse, a 16 o 32 pannelli, adattabili a qualsiasi location) la mostra è a disposizione di parrocchie e realtà giovanili.   Per informazioni e prenotazioni: centroculturale.vicenza@stpauls.it telefoni 346.9633801 oppure 335.1448442