Le Poesie sono come ballerine. Nel sovrumano silenzio.

Picinisco, Frosinone, è un posto bellissimo…hanno tutti la stessa maestosità: i vecchi nei vicoli a rigirare la vita tra parole e ricordi; i giovani che sanno di attaccamento alla famiglia e alle tradizioni; le montagne del parco nazionale che lo fanno perché è questo sanno fare, e dare.

A Picinisco da dieci anni – un’eternità, con questo tempo che scorre spesso a casaccio – è l’epicentro del Festival delle Storie, una colorata matassa di cultura e culture che Vittorio, Rachele ed altre persone di buona volontà ad ogni edizione dipanano per togliere a noi altri fili: quelli delle ragnatele appiccicate al pensare e all’andare asfittico.

Prendete, prendiamo ieri sera: in piazza ci saranno state mille persone ad ascoltare un Poeta come Davide Rondoni parlare, dire e fare di Poesia e di Poeti, della Vita che – solo a volerlo – sa pure lei scorrere come Poesia.

Vado in ordine sparso, e le maiuscole sono le mie, tra i miei sparsi appunti presi ieri sera…:

Parole, suoni (e grazie anche a quelli del giovane Virgilio Volante) e immagini evocative di Davide Rondoni:

<e come il vento>.

<La Poesia si fa con le parole. E l’uomo è un essere di parola. La tua vita diventa la tua vita grazie alla parola>.

<La parola è il modo di nominare la vita nel modo più adeguato>.

<Tutte le volte che gli uomini si avvicinano a qualcosa di grande, diventa Poesia>.

<I Poeti prendono sul serio la vita>.

<I Poeti danno voce all’esperienza che fanno tutti>.

<Devi accettare che la tua vita si metta a fuoco con le parole di altri: questo è uno strano prodigio che chiamiamo Poesia>.

<Ma sedendo e mirando>.

<Le Poesie sono come ballerine: bisogna guardarle nei loro movimenti>.

<Sovrumano silenzio. Questo devi chiederti quando leggi le Poesie: se hai sentito un sovrumano silenzio>.

<Di un infinito nello spazio cosa te ne fai? Solamente noi abbiamo il sentimento del tempo>.

<La lettura dei segni è veramente umana>.

<La Poesia grande è sempre attuale>.

<Se tutto diventa identità poi è un problema, è la guerra>.

<Ti identifica solo il tuo rapporto con l’infinito>.

<Il problema è: c’è il vento nella tua vita?>.

<e come il vento>.

E’ la stampa, bruttezza

La stanchezza adesso

è un filo sempre connesso

a questa vita della vita mia

che prende il resto e scivola via.

“Sempre meglio che lavorare”:

l’idiozia di un vecchio detto

che lascia fuori il non detto

di anni consumati nel troppo faticare

Il Meeting, un punto di ripartenza per l’Italia. E un libro ci aiuta a capire come fare

Nel Meeting numero 40, un libro sui 40 anni del Meeting non poteva non lasciare il segno. Ed in effetti il lavoro di Salvatore Abbruzzese – sociologo, docente all’Università di Trento e pendolare tra quest’ultima città e la ciociara Ceprano dove vive con la sua splendida famiglia – si fa apprezzare per come è stato portato a termine: non solo occasione “celebrativa” ma punto fermo su tutto quello che è stato, è, e ancora sarà, la kermesse riminese di Comunione e Liberazione.

Certo, magari la presentazione di questo libro nel mezzo della settimana del Meeting avrebbe dato allo stesso un respiro maggiore (anche commerciale e di diffusione, perché no) ma il porlo come ultimo incontro è stata comunque una scelta azzeccata, perché ha dato l’idea del suggello a questi primi 40 anni del Meeting e ad una edizione 2019 tra le più effervescenti, dalla partecipazione massiccia (1 milione di persone) e con i clamori della politica che hanno lasciato il posto al confronto, al sociale più che al social (come ha efficacemente rimarcato Paolo Viana su Avvenire), alle “solite” mostre prese d’assalto. E non era semplice e neppure scontato, visto che sul Meeting è piombata una crisi di governo niente male.

Ma veniamo alla presentazione del volume di Abbruzzese (edito da Morcelliana e ora disponibile nelle librerie e online), curata da Emilia Guarnieri, presidente della fondazione Meeting per l’amicizia tra i popoli, e con il vicedirettore del Corriere della Sera, Antono Polito, nel ruolo di intervistatore.

<Questo libro – ha esordito la Guarnieri – mi ha fatto capire di più quello che abbiamo vissuto e quello che stiamo vivendo>. E detto da una delle “colonne” della prima ora, è molto più di un bel complimento.

Efficace anche la prima definizione di Meeting – che non a caso trova poi riscontro nelle ricerche fatte da Abbruzzese e sulla quale il sociologo è tornato nel corso del suo intervento – data da Polito: <Il Meeting mette insieme persone alla ricerca del vero. E il modo in cui lo cercano è paradossalmente più importante dell’esito>.

Salvatore Abbruzzese ha quindi preso a narrare del suo primo incontro… quasi scontro, per chi come lui arrivava da un mondo diametralmente opposto, ma che scontro sul serio non lo è mai stato in quegli anni ’90 <perché rimasi subito colpito dalla bellezza e dalla letizia, e non me le sapevo spiegare, ma le percepivo. E continuavo a venire al Meeting anche quando non mi invitavano, perché dovevo capire>. E la cosa che Abbruzzese – e tanti come lui – ha compreso è che questa esperienza riminese <nasce come denuncia dell’assenza di senso: eravamo tutti insoddisfatti e l’essenziale tendeva ad essere dichiarato come inesistente>.

E poi, ecco “le circostanze”, termine che non a caso nel vocabolario ciellino, e prima ancora giussaniano, qualcosa vuole pur dire. Circostanze che Abbruzzese riassume in due capisaldi: la strage di Bologna in Italia e l’occupazione dei cantieri di Danzica in Polonia, Europa: <Dovevo andare a Rimini per capire cosa stava accadendo in Europa>, ha sottolineato l’Autore, richiamando la figura di Giovanni Paolo II. Ecco, quella del papa santo polacco è una delle figure che tanto hanno dato al Meeting, mentre – molto più laicamente – altre figure hanno fatto altrettanto, ma “insozzate” strada facendo da semplificazioni giornalistiche alla… comunione e fatturazione.

Prendiamo Giulio Andreotti, cui il Meeting 2019 ha dedicato una bella mostra: <L’amicizia del Meeting con Andreotti non va banalizzata. Ma veramente – ha chiosato Abbruzzese – vogliamo ridurla a questione clientelare? Ma per piacere…>.

Anche se alla stesura di questo libro Abbruzzese ha dedicato “solo” gli ultimi 4 anni, è come se lo avesse iniziato a scrivere già dalla prime frequentazioni degli anni ’90, poi diventate assidue e irrinunciabili (anche per un percorso di fede e di amicizia fatta con tanti compagni di strada). E ogni volta, il sociologo ciociaro-trentino restava sconvolto <dalla positività del reale>, da qualcosa <di non banale in un mondo che banalizzava tutto>.

E così ha visto il Meeting farsi <motore in un’epoca in cui regna il disincanto>, capace di <ridare dignità alla domanda e rispettare la ricerca di senso>. E così <la verità dell’uomo resta, anche quando la Dc non c’è più, Giovanni Paolo II torna alla casa del Padre e l’economia non è più controllabile>.

Anche per questo, il Meeting viene visto pure come <una costituente culturale> e i legami con la politica in realtà abbracciano il pre-politico <e non c’è nulla di banale in tutto questo, altro che passerelle>.

E come non sottolineare – lo ha fatto con simpatia anche Polito – il ruolo giocato dai volontari? A migliaia, giovani e no, che spendono tempo e denaro (il loro) per esserci, a sgobbare sotto il sole, a preparare piadine, a pulire i pavimenti: <Il Meeting è nel mondo per viverci meglio. E i volontari vengono a Rimini per questo, sono portatori di una domanda che trovano una risposta – ha aggiunto Abbruzzese – altrimenti non tornerebbero. E aprono una porta sull’infinito>.

Ma, prima di concludere, e come già fatto in un’intervista resa al sottoscritto nei giorni scorsi e apparsa sulle colonne dell’Osservatore Romano, ad Abbruzzese è stato infine chiesto come sarà il Meeting – e dunque la società di cui è specchio – nei prossimi 40 anni: <La società cambierà, recupererà in meglio, anche perché peggio di così non può andare una società dove i genitori devono portare i figli da Sfera ebbasta. Il Meeting sarà uno dei luoghi nei quali si ricomincerà>.

E allora: ai prossimi 40 anni del Meeting (e ad un altro libro di Abbruzzese sui primi 80 anni del Meeting).

Meeting, una lunga storia di amicizia

Avrei tante cose da dire sul Meeting di Rimini – esperienza che torno a frequentare sempre con piacere – ma, a parte il fatto che un mio eventuale “pistolotto” non credo interessi alcuno, l’unica parola che mi viene in mente adesso è “amicizia”.

Sì, AMICIZIA. E non solo perché è parola iscritta nel dna di questa intuizione – “Meeting per l’amicizia fra i popoli” è la dicitura completa della kermesse riminese – ma perché è quello che sperimento ogni volta tra quei padiglioni della fiera.

Amicizia con quelli che incontri e mai ha conosciuto prima; amicizia con quelli che ritrovi (spesso una sola volta l’anno, proprio al Meeting); amicizia con quelli che sono tuoi amici – anche di questa esperienza di fede – e che al Meeting ogni volta ri-scopri più veri, più umani, più amici: in fila per una mostra, ai tavolini dei punti-ristoro (e ogni volta quante simpatiche discussioni su quale scegliere), tra i volumi della grande libreria.

Se non ci fosse questa cifra dell’amicizia, credo che il Meeting non avrebbe raggiunto la… cifra delle 40 edizioni. E aspetto con ansia di ripercorrere questa storia anche grazie al libro del caro amico Salvatore Abbruzzese che esce proprio in questi giorni.

Ecco perché anche quest’anno andrò (pochi giorni, e non senza grandi sacrifici, ma basteranno a ricaricare le pile) per fare questo “pieno” di amicizia. Grato a don Giussani per aver gettato il seme anche su questa terra, poi fecondata da tanti, in operoso silenzio: le polemiche le lascio a chi non sa altro, a quelli che ancora scrivono sui social “cloro al clero”, ai colleghi giornalisti che già preparano paginate di “comunione e fatturazione”.