Solo la vergogna non resta sotto le macerie

Non ci sono terremoti di serie A e di serie B.  Non possono esserci, soprattutto in un Paese come il nostro che certe tragedie le vive straordinariamente in termini di solidarietà. E che poi li patisce in termini di dopo-terremoto, dalla burocrazia alle mancate ricostruzioni (probabilmente solo il Friuli ne è rimasto indenne).

L’altra sera delle persone di una associazione benefica, la DaMa Onlus, raccontavano ad esempio di aver raccolto una discreta somma di denaro da destinare ad Amatrice ma di essere rimaste poi impantanate nel fango assurdo della burocrazia, prima di trovare a fatica una “scappatoia” per destinare comunque quel denaro.

Adesso sono 16 anni dal terremoto in Molise, un sisma passato in effetti un po’ in sordina, se non fosse stato per il terribile effetto emotivo del crollo della scuola di San Giuliano e della morte di 27 bambini. Oggi il vescovo di Termoli-Larino affida all’agenzia Sir le sue parole, assai tristi ma anche di esemplare condanna, per questo mesto anniversario. Eccole, senza alcun bisogno ulteriore di commentarle: <Dopo 16 anni cosa è cambiato nel nostro territorio? Molto, e possiamo dire che niente è più come prima. I nostri comuni hanno accelerato rovinosamente la via del declino demografico, sociale, economico, tante piccole imprese sono fallite con la perdita di tanti posti di lavoro (anche a causa della gestione della ricostruzione); l’auspicato rilancio economico si è arenato tra le maglie di una burocrazia maligna, di amministrazioni, a tutti i livelli, ingessate, di farraginosi meccanismi che ritardando interventi promessi, hanno fatto perdere ogni possibilità di ripresa. Non sono mancati casi di sciacallaggio, di ruberie, di scandalose diseguaglianze e palesi atti di ingiustizia”>.

 

Prossima fermata, la vita

 


stavolta sferraglia la vita.

Perso di sogni,/e ricordi partiti pure loro,/penso di avermi. 

 


ogni volta mi rincorre la vita.

Prego di giorno,/e speranza che chiama carità,/nego la notte.

 

qualche volta mi scappa la vita.

Canto di anni stonati,/e malinconie ferme nel cuore,/conto i giorni che verranno.

Guardato dalla Croce

Non so

cosa diremo alle pietre scagliate

da chi peccati non ne ha

Non riesco a capire

come quel cammello possa passare

attraverso la cruna di un ago

Non ho mai gettato un amo

né mi sono fatto pescatore di uomini

La Croce, però, mi guarda e sta ferma

mentre tutto il mondo gira.

Perché “Povera voce”

Qualcuno, tra i non tantissimi ma bastevoli e necessari, degli amici di questo blog mi chiede come mai ho chiamato “Povera voce” questa sezione, che ha la pretesa di porre delle riflessioni, dei pensieri religiosi, financo spirituali.

E’ il titolo di una canzone, bellissima, struggente, che scava dentro e che ho imparato frequentando, oramai da tempo, la comunità ciellina della mia città, la scuola di comunità, le vacanze estive.

E me le ritrovo, queste parole della canzone, proprio ogni volta che ho bisogno di sentirle, di farmi cullare anche dalla nenia della sua musica.

La canzone fa così:

Povera voce, di un uomo che non c´é

La nostra voce se non ha piú un perché

Deve gridare, deve implorare

Che il destino della vita non abbia fine

 

Poi deve cantare perché la vita c´é

Tutta la vita chiede L´Eternitá

Non puó morire, non puó finire,

La nostra voce che la vita chiede all´Amor

Non é povera voce di un uomo che non c´é,

La nostra voce canta con un perché.