Ma chi manda in onda “I bastardi di Pizzofalcone”?

Non leggo i libri di Maurizio De Giovanni e mi fido del parere della mia amica Laura Collinoli che li ritiene belli. Ergo: la trasposizione televisiva deve essere allora una libera interpretazione dei liberi, perché i “gialli” che manda in onda Rai Uno nella serie “I bastardi di Pizzofalcone” di giallo hanno (scusate l’immagine forte, ma quanno ce vo’ ce vo’, come dicono a Roma) sì e no il colorito di quello che dalla bocca finisce nel water dopo aver visto le puntate, tipo soprattutto – e tra un po’ diremo meglio perché – quella di ieri sera.

Storielle esili, che capisci come va a finire alla seconda inquadratura. Attori che, nella vita reale, non vorresti come giudici o poliziotti neppure se fossi il peggiore dei delinquenti e dunque avresti solo da guadagnarci dalla improponibilità delle maschere portate in tv da Alessandro Gasmann e Carolina Crescentini (di converso, delle liete sorprese sono invece Gennaro Silvestro, nei panni dell’agente che trova una neonata tra i rifiuti, e Gianfelice Imparato, che impersona il poliziotto saggio vicino alla pensione, mentre Gioia Spaziani conferma doto eccelse ma sottovalutate dal cinema e da una certa tv).

Ma il punto è un altro (l’ho già scritto, ma mi piace coerentemente ripeterlo e rimarcarlo): nella fiction tv – nei libri, ripeto, non so – c’è una giovane poliziotta lesbica che intreccia un rapporto con una superiora. Ogni puntata è la stessa solfa di sbaciucchiamenti e amoreggiamenti dove capita, dai talami di certe case che per mantenerle dovresti guadagnare almeno 10mila euro al mese ai corridoi di un commissariato.  Ma ieri sera – lunedì 5 novembre – la Rai radiotelevisione italiana ha raggiunto il massimo, con scene di “amore” lesbico ripetute e ostentate della poliziotta in un club o in mezzo alla strada, fino alla “morale” dell’altra “innamorata” tradita, che invece chiedeva un “rapporto stabile”. Una immondizia allo stato puro, una moralità rifilata sotto i tacchi. E presa dalle tasche di quanti, come me, con i soldi del canone non vogliono certo finanziare “opere” del genere. Per giunta in prima serata, quella che una volta mettetevi la famigliola davanti alla tv e anche così costruivi un’Italia migliore, degna di antichi Valori.

Una Cittadella in mezzo al Cielo

Sarà banale e scontato, ma da stamane – pensando a queste povere cose da scrivere – mi martella il ritornello della bella canzone “La vita è adesso” di Baglioni, un testo autenticamente religioso, come ha fatto notare l’ottimo Andrea Pedrinelli nel suo libro di qualche anno fa “Quel gancio in mezzo al cielo”.

Io, un bel pezzo di cielo ce l’ho a pochi chilometri da casa, qui a Frosinone: è Cittadella Cielo, il cuore dell’esperienza di Nuovi Orizzonti. Un’esperienza che sto imparando a conoscere piano piano, grazie all’amicizia (e alla pazienza nei miei confronti…) di don Davide Banzato.

Mi piace la loro gioia, mi affascina la loro gratuità nel dare, mi fa riflettere sulla mia pochezza la loro “grandezza” nel mettersi davanti al prossimo senza esaltarsi. Per questo, per tutto quello che fanno (per i giovani schiavi di mille dipendenze, in particolare) vanno aiutati. E ancora per pochi giorni possiamo aiutarli semplicemente, con un sms, al costo di due caffè. Oggi provo a scriverne sulle pagine di Lazio Sette, l’inserto della domenica di Avvenire.

Ps: in quel pezzo di cielo vicino casa, quando ancora era un rudere e io ero un ragazzino, correvo con la bicicletta e  andavo a giocare  a nascondino con gli amici. E’ davvero bello che, dopo tanti anni, il Signore abbia fatto “tana” attraverso questi nuovi Amici.

 

Davanti alla tomba

 

Sghembi

petali di margherita,

ammiccanti primavere

di giochi e risate:

non vi prendo,

che tanto l’amo lo stesso

 

E che ci fate

in questo luogo di fornaci

che accendono ricordi?

 

Togliete il disturbo

da un prato ansimante

rabbie e dolori

 

e comunque  un vento,

forte di malinconie

e più odoroso di inutile corolla,

presto verrà a spargervi:

non vi prendo,

che tanto i fiori mai ha amato.