? Tra…boni e cattivi | Pagina 106

Il riflesso

ECCO L’EDITORIALE DELL’ULTIMO NUMERO DI “ANAGNI-ALATRI UNO”, IL MENSILE DELLA DIOCESI DI ANAGNI-ALATRI CHE HO L’ONORE DI COORDINARE

——————

Sinodo dei giovani e convegno ecclesiale della diocesi di Anagni-Alatri: l’accostamento tra “le cose di Chiesa” più forti di queste ultime settimane non è ardito e, anzi, è il riflesso della Chiesa universale che si specchia in quelle locali, e viceversa. Un riflesso che ci piace assai, che ci fa sentire sempre più Chiesa.

Al centro, dell’uno come dell’altro evento, i giovani: non il giovanilismo fine a se stesso, l’inseguire mode – e modi – che non sono proprie della Chiesa, ma una riflessione acuta, seria e di prospettiva su un mondo che chiama e interpella, oggi più che mai. Che non ammette mezze misure, che non tollera scorciatoie, che non vuol sentire parole a vanvera.

La prospettiva è tutta nelle risposte da dare, senza perdere altro tempo, senza sprecare l’occasione di questo tempo, data proprio dal fatto che le giovani generazioni hanno bisogno di punti di riferimento, di non sentirsi abbandonate. Di avere, in sintesi, dei compagni di viaggio affidabili e instancabili. In questo senso gli “uomini di Chiesa” possono dare e fare tanto. E allora, ci permettiamo di dirlo da laici consapevoli, la prospettiva diventa anche quella di un impegno vocazionale che allarghi gli orizzonti di questi giovani e dia loro quei compagni di viaggio di cui necessitano.

Fuor di metafora: non possono mancare santi sacerdoti che accompagnino questi ragazzi nel cammino di una vita che dall’incerto deve poi poggiare sul certo. Vanno bene tutti gli incontri, le riunioni, i raduni, le vacanze, gli oratori di questo mondo, ma se i nostri ragazzi dentro ognuno di questi momenti non trovano un sacerdote, il rischio di smarrire la bussola – o di non trovarla per niente – è grande. E’ un po’ quello che già stiamo conoscendo noi adulti, sempre più simili al protagonista della canzone di Celentano che in estate si ritrova <senza un prete per chiacchierar>. E si fa subito autunno, inverno.

Anche come Chiesa locale siamo invitati a fare qualcosa e di più. E così diventano essenziali la preghiera (<pregate il padrone della messe…> e la vicinanza ai preti (non di rado invece siamo loro “vicini” solo con le maldicenze).

 

 

Ma chi manda in onda “I bastardi di Pizzofalcone”?

Non leggo i libri di Maurizio De Giovanni e mi fido del parere della mia amica Laura Collinoli che li ritiene belli. Ergo: la trasposizione televisiva deve essere allora una libera interpretazione dei liberi, perché i “gialli” che manda in onda Rai Uno nella serie “I bastardi di Pizzofalcone” di giallo hanno (scusate l’immagine forte, ma quanno ce vo’ ce vo’, come dicono a Roma) sì e no il colorito di quello che dalla bocca finisce nel water dopo aver visto le puntate, tipo soprattutto – e tra un po’ diremo meglio perché – quella di ieri sera.

Storielle esili, che capisci come va a finire alla seconda inquadratura. Attori che, nella vita reale, non vorresti come giudici o poliziotti neppure se fossi il peggiore dei delinquenti e dunque avresti solo da guadagnarci dalla improponibilità delle maschere portate in tv da Alessandro Gasmann e Carolina Crescentini (di converso, delle liete sorprese sono invece Gennaro Silvestro, nei panni dell’agente che trova una neonata tra i rifiuti, e Gianfelice Imparato, che impersona il poliziotto saggio vicino alla pensione, mentre Gioia Spaziani conferma doto eccelse ma sottovalutate dal cinema e da una certa tv).

Ma il punto è un altro (l’ho già scritto, ma mi piace coerentemente ripeterlo e rimarcarlo): nella fiction tv – nei libri, ripeto, non so – c’è una giovane poliziotta lesbica che intreccia un rapporto con una superiora. Ogni puntata è la stessa solfa di sbaciucchiamenti e amoreggiamenti dove capita, dai talami di certe case che per mantenerle dovresti guadagnare almeno 10mila euro al mese ai corridoi di un commissariato.  Ma ieri sera – lunedì 5 novembre – la Rai radiotelevisione italiana ha raggiunto il massimo, con scene di “amore” lesbico ripetute e ostentate della poliziotta in un club o in mezzo alla strada, fino alla “morale” dell’altra “innamorata” tradita, che invece chiedeva un “rapporto stabile”. Una immondizia allo stato puro, una moralità rifilata sotto i tacchi. E presa dalle tasche di quanti, come me, con i soldi del canone non vogliono certo finanziare “opere” del genere. Per giunta in prima serata, quella che una volta mettetevi la famigliola davanti alla tv e anche così costruivi un’Italia migliore, degna di antichi Valori.

Una Cittadella in mezzo al Cielo

Sarà banale e scontato, ma da stamane – pensando a queste povere cose da scrivere – mi martella il ritornello della bella canzone “La vita è adesso” di Baglioni, un testo autenticamente religioso, come ha fatto notare l’ottimo Andrea Pedrinelli nel suo libro di qualche anno fa “Quel gancio in mezzo al cielo”.

Io, un bel pezzo di cielo ce l’ho a pochi chilometri da casa, qui a Frosinone: è Cittadella Cielo, il cuore dell’esperienza di Nuovi Orizzonti. Un’esperienza che sto imparando a conoscere piano piano, grazie all’amicizia (e alla pazienza nei miei confronti…) di don Davide Banzato.

Mi piace la loro gioia, mi affascina la loro gratuità nel dare, mi fa riflettere sulla mia pochezza la loro “grandezza” nel mettersi davanti al prossimo senza esaltarsi. Per questo, per tutto quello che fanno (per i giovani schiavi di mille dipendenze, in particolare) vanno aiutati. E ancora per pochi giorni possiamo aiutarli semplicemente, con un sms, al costo di due caffè. Oggi provo a scriverne sulle pagine di Lazio Sette, l’inserto della domenica di Avvenire.

Ps: in quel pezzo di cielo vicino casa, quando ancora era un rudere e io ero un ragazzino, correvo con la bicicletta e  andavo a giocare  a nascondino con gli amici. E’ davvero bello che, dopo tanti anni, il Signore abbia fatto “tana” attraverso questi nuovi Amici.

 

Davanti alla tomba

 

Sghembi

petali di margherita,

ammiccanti primavere

di giochi e risate:

non vi prendo,

che tanto l’amo lo stesso

 

E che ci fate

in questo luogo di fornaci

che accendono ricordi?

 

Togliete il disturbo

da un prato ansimante

rabbie e dolori

 

e comunque  un vento,

forte di malinconie

e più odoroso di inutile corolla,

presto verrà a spargervi:

non vi prendo,

che tanto i fiori mai ha amato.

Solo la vergogna non resta sotto le macerie

Non ci sono terremoti di serie A e di serie B.  Non possono esserci, soprattutto in un Paese come il nostro che certe tragedie le vive straordinariamente in termini di solidarietà. E che poi li patisce in termini di dopo-terremoto, dalla burocrazia alle mancate ricostruzioni (probabilmente solo il Friuli ne è rimasto indenne).

L’altra sera delle persone di una associazione benefica, la DaMa Onlus, raccontavano ad esempio di aver raccolto una discreta somma di denaro da destinare ad Amatrice ma di essere rimaste poi impantanate nel fango assurdo della burocrazia, prima di trovare a fatica una “scappatoia” per destinare comunque quel denaro.

Adesso sono 16 anni dal terremoto in Molise, un sisma passato in effetti un po’ in sordina, se non fosse stato per il terribile effetto emotivo del crollo della scuola di San Giuliano e della morte di 27 bambini. Oggi il vescovo di Termoli-Larino affida all’agenzia Sir le sue parole, assai tristi ma anche di esemplare condanna, per questo mesto anniversario. Eccole, senza alcun bisogno ulteriore di commentarle: <Dopo 16 anni cosa è cambiato nel nostro territorio? Molto, e possiamo dire che niente è più come prima. I nostri comuni hanno accelerato rovinosamente la via del declino demografico, sociale, economico, tante piccole imprese sono fallite con la perdita di tanti posti di lavoro (anche a causa della gestione della ricostruzione); l’auspicato rilancio economico si è arenato tra le maglie di una burocrazia maligna, di amministrazioni, a tutti i livelli, ingessate, di farraginosi meccanismi che ritardando interventi promessi, hanno fatto perdere ogni possibilità di ripresa. Non sono mancati casi di sciacallaggio, di ruberie, di scandalose diseguaglianze e palesi atti di ingiustizia”>.