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Igor Traboni - Giornalista per passione (e un po' anche per necessità)

Quelle mille famiglie povere

Di storie come queste ne ho scritte tante (non è per tirarmela, ma se volete è anche per un fatto statistico, visti i 31 anni di professione e la crisi in cui siamo piombati da 10-15 anni), ma stavolta, più delle altre volte, è come un rovello: da quando, qualche giorno fa, l’amico Piergiorgio Ballini dll’Unitalsi mi ha raccontato quello che sta succedendo su un territorio tutto sommato piccolo. E’ quello che coincide con la diocesi di Anagni-Alatri, in una fetta di Ciociaria: una trentina di paesi, per lo più piccoli, una popolazione che arriva sì e no a 90mila abitanti. Però ci sono già mille famiglie povere. Una enormità. E un numero che cresce. Sono le famiglie già seguite perché indigenti, ma soprattutto quelle dei “nuovi poveri”: chi prima faceva lavoretti ma anche chi “stava bene” con un negozietto o una attività da piccolo libero professionista e che però da tre mesi non incassa un euro, non vede un soldo. E i figli da far mangiare sono sempre lì, magari anche con la tenerezza innocente di “papà, mi compri un gelato?”, e tu quei 2 euro non ce li hai. Scusate, ma a me questa cosa non mi fa dormire bene e nei sogni-incubi tornano spesso quelle mille famiglie.

 

FINISCONO LE POESIE

Libri di scuola sbertucciati negli scatoloni

Vecchie canzoni che stornelli solo tu

Pure gli amori se ne sono andati via

E le figurine di una piazza nessuno colleziona più

Ritagli di giornale nella mente, offuscata di sigarette altrui

e ore nel sonno, di sonno perse.

Potrei ricordare altro, se altri avessero uguale desiderio.

E camminare ancora, ma l’àncora mai gettata

è ancora lì, sulla barca ondeggiante di paure

(queste sì ritrovate).

Fissi lo sguardo, assassino di troppi volti:

neanche le voci sono le stesse, silenziate

nei viali sdrucciolevoli del cimitero di paese.

I sogni diventano illeciti adesso

arruffati nei capelli radi:

parole smarrite, e mica le ritrovo

nelle tasche di taccuini e cappotti fuori moda.

Delle partite perse senza giocare

manca l’applauso finale

di tanto correre, inseguito da parole

che inseguivo.

LE MALINCONIE

Le malinconie, tutte assieme:

tappo allo stomaco,

gola in fiamme che neppure la saliva

dei ricordi spegne.

 

Le malinconie, strane amiche:

giocano a rimpiattino,

corrono in fretta più veloci

del vento che sibila nomi e facce.

 

Le malinconie, assurda poesia:

versi che non scorrono,

eppure ti cantavo in rima

ed eri amore uno dopo l’altro.

Nel silenzio

di questa Quaresima –

Sabato Santo: il silenzio. Ma ho provato a far silenzio anche ieri, Venerdì Santo, sotto la Croce. E a maggior ragione lo farò domani, Pasqua, vittoria della gioia. Ecco perché mi fermo qui in questi piccoli pensieri di Quaresima: per cercare di fare Quaresima ogni giorno, anche oltre Pasqua, nel silenzio.

Spezzare il pane (per dire: ti voglio bene)

di questa Quaresima –

“Ne vuoi un pezzo?”.  Quante volte abbiamo ripetuto questa domanda, noi con un pezzo di pane in mano, l’amico davanti a mani vuote. Non è mai stato un gesto per sfamare l’altro (che semplicemente non aveva un panino a portata di mano) ma per dirgli: ecco, ti voglio bene, ti faccio parte del mio pane perché ti voglio bene, perché sei importante per me.

Anche i discepoli di Emmaus riconobbero Gesù nello spezzare il pane. No, non dobbiamo avere la stessa presunzione, per carità. Ma spezzare il pane per l’amico, dirgli: ti voglio bene, questo sì che si più fare.