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Cadono sempre in piedi

Ci sono quelli che cadono sempre in piedi: la vita – che per gli altri, per tutti noi, è comunque un percorso tra pianure, discese ma anche tanti ostacoli – non li scalfisce minimamente. Ne fanno di cotte e di crude, lasciano sul campo cadaveri nel corpo e nello spirito, attraversano bufere che stroncherebbero chiunque, eppure loro – solo loro – cadono sempre in piedi. Hanno sempre una scappatoia, una via d’uscita, un gruzzolo sotto il materasso. E poco importa se quella via d’uscita la occupano con una mole di nefandezze, se quel gruzzolo in realtà arriva dal sudore di altri e a loro non apparterrebbe. Perché loro cadono sempre in piedi.

Ci vorrebbe una legge per punire quelli che cadono sempre in piedi. Ma poi, a farsi tutte le leggi, anche quelle non scritte, sono sempre loro. Loro che cadono sempre in piedi. Ci vorrebbe allora una legge divina, non come castigo o punizione perché non è questo il Dio che abbiamo, ma perché capiscano almeno una volta il male che stanno facendo e ritrovino un po’ di coscienza all’ennesima caduta. Loro che in realtà neppure cadono, perché cadono sempre in piedi. (mentre c’è chi in piedi non riesce neppure più a stare, piegato da una vita che scivola via).

Cercasi laici

Sono sempre di meno quelli che animano le comunità. Stanchezza e problemi quotidiani prevalgono, ma il loro ruolo è indispensabile nella Chiesa. E allora serve ripartire

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Inutile negarlo, nascondersi dietro un dito o – peggio – far finta di niente: c’è un po’ di stanchezza in quei laici che danno una mano, e a volte anche tutte e due, nelle “cose di Chiesa”. La fotografia che possiamo scattare anche nelle nostre comunità non lascia grossi dubbi: nelle parrocchie sono sempre di meno i laici che si danno da fare e affiancano i sacerdoti nelle varie incombenze pastorali. Tanti servizi oramai non vengono più prestati, diverse attività sono ridotte al lumicino se non addirittura scomparse perché non c’è più chi le anima. Anche quelle più comuni fanno fatica. Due esempi su tutti: i catechisti sono sempre di meno, i volontari delle Caritas parrocchiali pure. Chi scrive ha approfondito il discorso con diversi sacerdoti, che hanno il polso della situazione, e la sintesi è una sola: la gente ha tanti problemi – familiari, di salute ma soprattutto economici – e ha sempre meno tempo per “le cose di Chiesa”. Il tutto si riflette anche tra associazioni e movimenti e neppure qui si riesce a trovare forze come una volta. Certo, non tutto è da buttare e, così come non sono tollerabili infingimenti, neppure va drammatizzata la situazione. Però serve parlarne, rifletterci su, analizzare il fenomeno e, senza la presunzione di servire ricette, offrire qualche soluzione.

D’altro canto, i laici hanno identità e missione ben precise all’interno della Chiesa.

Dal Concilio Vaticano II in poi, si è sviluppato un interessante dibattito sul ruolo dei laici nella Chiesa, qualcuno ha parlato anche di “teologia del laicato”, e i toni positivi hanno prevalso su quelli fuorvianti: raramente la corresponsabilità è stata intesa come un’invasione di campo o, di converso, come una messa ai margini. Sempre più si fa strada il concetto del laico come “cristiano testimone”. E allora potrebbe essere questo un punto di ri-partenza: dare testimonianza come si può, anche se la stanchezza è tanta, se è difficile arrivare alla fine del mese, se prepari il pacco per i poveri e pensi che stai per diventarlo anche tu. E cercare l’aiuto della comunità, senza isolarsi né isolare. Guardando ai santi – primi testimoni – capaci di ridestarci il significato che forse stiamo smarrendo. Giovanni Paolo II, a proposito di santi, nella Lumen Gentium parlava di “vocazione” all’essere laici, con lo scopo di “cercare il Regno di Dio, trattando le cose temporali ed ordinandole secondo Dio”.

Malato, cura “me” stesso

Oggi è la Giornata mondiale del malato.  So che a qualcuno quello che sto per scrivere farà storcere il muso, ma a me piacerebbe una “Festa del malato”. Perché solo i malati sanno stare al mondo e nel mondo, vicini alla croce di Cristo. E quando riusciamo a metterci accanto ad un malato, anche noi gustiamo un pezzo, un anticipo di Paradiso: basta lasciarsi cullare dalla loro Fede.

La malattia spesso è il centro e al centro dell’amore: quando un uomo e una donna si sposano, l’invito è a stare assieme e a sostenersi anche “nel dolore e nella malattia”. Così si fortifica una unione d’amore.

Papa Francesco per questa Giornata ha indicato l’esempio di Madre Teresa di Calcutta. Ecco, credo sia bellissimo accostare il senso della malattia alla Carità, alla Povertà, che non è solo quella materiale.

Anche per queste cose ogni tanto sento il desiderio di andare a trovare un malato, perché mi curi da presunzione ed egoismo.

La Croce (come una preghiera)

La Croce

prova a raddrizzare

il legno storto che ho dentro,

di uomo e solo uomo.

 

Sotto la tua Croce, cantavano

quei giovani che mai ho incontrato

nei passi confusi,

di uomo e solo uomo.

 

Sta ferma, mentre il mondo gira:

la Croce. Ho letto

su un muro, preghiera inespressa,

di uomo e solo uomo.

 

Tu, o Croce,

prova a raddrizzare

ogni cosa.

E poi a soddisfare

fame e sete

di uomo, non più solo uomo.

(gennaio 2019)

Un nuovo inizio

Il 2019, attese e speranze. E come Chiesa locale subito due appuntamenti: la Marcia della Pace a Sgurgola e un incontro sul Cammino di Santiago ad Alatri

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Un nuovo anno spesso coincide, almeno nelle intenzioni, con un nuovo inizio. Da bambini sono promesse del tipo “non lo faccio più”: Da adulti il più delle volte diventano speranze. E non è detto che non vada bene: la speranza muove i cuori, spesso li fa correre e comunque li rimette in cammino. Ecco, come comunità ecclesiale abbiamo bisogno di continuarlo questo cammino. E di invitare ed accogliere sempre più persone a camminare con noi.

Le ragioni profonde della gioia di un nuovo anno che inizia le spiega molto meglio il nostro vescovo Lorenzo nella riflessione alle pagine 2-3 e dove, tra l’altro, esorta così: < Il passaggio da un anno all’altro costringe il cuore nostro a prendere posizione e a decidere da che parte stare. Più che il registro del lamento e della rivendicazione, muoviamo quello della riconoscenza e della lode per tanti doni e, soprattutto, per quello della speranza basata sulla fede nella promessa di Dio. Entriamo nel nuovo tratto di tempo che ci viene donato con una fede di figli, non di ragionieri>.

Qui invece vogliamo brevemente rimarcare due eventi di inizio anno che coinvolgono questa Chiesa locale e hanno proprio il sapore genuino, come un buon pane fragrante, della marcia, del camminare insieme. Iniziamo da Sgurgola dove sabato 26 gennaio, nel primo pomeriggio, si terrà la tradizionale “Marcia della pace”, promossa dall’Azione Cattolica diocesana. Il tema di quest’anno è: <La buona politica è al servizio della pace>. Un argomento che non ci dovrebbe far dormire la notte, tante e tali sono le contingenze odierne riferite sia alla politica che alla pace.

Ad Alatri invece, presso la parrocchia di San Francesco, domenica 27 alle 18.30  si parlerà del Cammino di Santiago, con uno dei padri Guanelliani che, insieme alle religiose dello stesso Ordine, curano proprio questa missione. Ogni anno sono tanti i giovani, ma non solo, che partono anche dalla nostra Diocesi per mettersi su quel Cammino: farci raccontare le ragioni di quel loro muoversi, potrebbe dare un senso anche al nostro.

(Un’ultima annotazione: con questo numero, “Anagni-Alatri Uno” entra ufficialmente nel suo ventesimo anno di vita. Anche per questo giornale si tratta di continuare un cammino. E farlo tutti insieme sarà ancora più bello).

Antonio, 28 anni. Giornalista

Le polemiche non servono, mai. Figuriamoci poi in momenti come questi. Ma è altrettanto vero che certe cose bisogna pur dirle, se le hai dentro e ti senti esplodere, se la faccia vuoi mettercela sempre, come ti ha insegnato un amico prete.

Antonio aveva 28 anni e faceva il giornalista. Passeggiava per i mercatini di Strasburgo, come avrebbe fatto qualsiasi altra persona durante una pausa del suo lavoro. In quelle stesse ore, mentre Antonio moriva, il vicepresidente del Consiglio dei Ministri Luigi Di Maio ribadiva tutta l’acredine, sua e del suo partito, contro i giornali e i giornalisti.

Io – senza ironia – rispetto l’On. Di Maio per il ruolo istituzionale che ricopre; anche se non mi rappresenta, visto che la sua parte politica fa sfoggio di essere anticristiana e in alcuni tratti ricorda certi regimi comunisti. In questo tourbillon politico-istituzionale, l’On Di Maio – e in misura financo peggiore alcuni suoi colleghi di partito – ha dunque infilato anche questa bramosia di distruggere giornali e giornalisti. Però almeno in queste ore poteva tacere. Mentre Antonio moriva. Antonio, 28 anni, giornalista.