Chiara era un architetto di successo, ma ha lasciato tutto (e trovato Tutto) per diventare monaca trappista. Oggi sull’Osservatore Romano.
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Tutto il… dolce dei monasteri di clausura
Il presepe parla
<La mangiatoia (dal latino “praesepium”) ha dato il nome a tutto il presepe, è un elemento non trascurabile. Fa da culla a Gesù e lo presenta al mondo. Sembra un testimone silenzioso del Mistero, ma parla…>. Così il vescovo Lorenzo Loppa nella sua “Lettera di Natale” e aggiungendo subito dopo quello che a lui suggerisce questa visione.
Proviamo ad estendere questo invito ad ognuno di noi: cosa ci dice il presepe? Cosa sentiamo, cosa vediamo davanti a quella mangiatoia che non a caso papa Francesco, nella sua recente visita a Greccio, ha invitato a fare in ogni casa, in ogni luogo? Basterebbe rispondere per trovare il vero senso del Natale, per accostarsi alla mangiatoia con cuore sincero, perché, e sono ancora parole del vescovo Loppa <per incontrare un Dio che s’è fatto piccolo bisogna chinarsi, abbassarsi, farsi piccoli>.
Questo Natale, inutile nascondersi dietro un dito, arriva in un momento per niente facile del vivere quotidiano. Prendiamo la nostra terra: il lavoro che non c’è, i giovani che vanno via, i disastri ambientali… Anche per questo, soprattutto per questo, c’è allora bisogno di fare un po’ di silenzio. Perché a “parlare” non siano le nostre angustie quotidiane, le maldicenze, le cattiverie dell’uno contro l’altro. E neppure lo scoramento davanti a tutto quello che non va o, peggio ancora, l’apatia “perché tanto non cambia niente”. E allora: che a parlare sia la mangiatoia. Chissà quante cose ha da dirci…
Il vento della notte di Natale
Stavolta c’è un vento strano:
porta le note di un carillon
e regala il sonno di bambini
a chi dorme da anni.
E altri bambini
hanno lasciato un foglietto
come usava un tempo:
“ai nostri nonni”;
ma il vento questo non lo strappa,
piuttosto sigillo al marmo freddo
di una notte calda.
* * *
Il nostro era il Natale
della letterina sotto al piatto
e della lenta attesa della scoperta;
adesso accelero i passi verso l’uscita,
tra mille altri sepolcri che paiono uno solo:
il vento della nostalgia mi tiene comunque caldo
in questa notte fredda.
(Natale 2019, al cimitero)
Natale fa rima con solidarietà
Gli occhi di Guglielmo (forza, non chiuderli proprio adesso)
Il caso dell’omicidio della povera Serena Mollicone lo seguii dal primo giorno, per “Il Giornale”, insieme (se non ricordo male) a due cronisti del calibro di Gian Marco Chiocci e Max Scafi. Il giorno del funerale s’era sparsa la voce che i giornalisti in chiesa non potevano entrare, eppure quel “pezzo dei funerali” andava fatto. Utilizzai le mie solite conoscenze sacerdotali e convinsi un prete a farmi entrare in canonica, per un (inesistente) bisogno fisiologico impellente, e da lì scivolai in chiesa. Ma poliziotti e carabinieri mi conoscevano e non potevo correre il rischio che mi sbattessero fuori; allora mi acquattai nel confessionale, espediente che poi usai in un altro funerale per un altro servizio di cronaca (e sempre col timore che arrivasse una vecchietta a confessarsi…). La cerimonia ebbe inizio e saltai fuori, arrivando praticamente dietro a Guglielmo, chino sul feretro della figlia, tanto che mi si nota in molte immagini e foto di quel rito.
Ma non ricordo tutto questo per vantarmi di chissà che cosa, piuttosto per un altro ricordo: all’improvviso vennero degli investigatori per invitare platealmente Guglielmo a seguirli in caserma (altro fatto stranissimo di quell’indagine: gli chiesero proprio allora di firmare il verbale per il ritrovamento del cellulare di Serena, stranamente mai rinvenuto in casa prima di allora…).
Guglielmo Mollicone si voltò per un attimo e incrociai i suoi occhi: li trovai – e li ricordo ancora oggi – spenti, quasi terrorizzati, come invocassero aiuto. Ma soprattutto cercavano, 18 anni fa come oggi, Verità e Giustizia (mai vendetta, perché questa non appartiene agli Uomini miti).
Ecco perché, caro signor Guglielmo Mollicone, non puoi mollare e spegnere per sempre quegli occhi proprio adesso. Adesso che sei ad un passo da Verità e Giustizia.
Gli occhi che guardano
Nelle mani degli adulti
ECCO IL TESTO INTEGRALE DEL MIO EDITORIALE PUBBLICATO SUL NUMERO DI NOVEMBRE DI “ANAGNI-ALATRI UNO”, MENSILE DELLA DIOCESI DI ANAGNI-ALATRI:
Quella che unisce gli adulti ai giovani, e viceversa, non è solo questione di sangue o anagrafica; in gioco – e non sono paroloni o frasi fatte – c’è infatti il futuro dell’umanità, c’è tutto un mondo da ri-costruire, da prendere per mano e in mano, da consegnare alle nuove generazioni. Ecco perché accogliamo con particolare favore la decisione del vescovo Lorenzo di aprire il nuovo anno pastorale rivolgendosi proprio agli adulti, in maniera schietta e diretta, perché accompagnino i giovani.
La “Lettera agli adulti” scritta dal vescovo è stata già distribuita in tutte le parrocchie e la trovate pubblicata integralmente anche in questo numero del mensile diocesano, a partire dalla seconda pagina. Ma alcune cose vanno ulteriormente sottolineate, ad iniziare dall’invito del presule a non perdere tempo rispetto alle istanze, al grido che arriva da quei giovani che <hanno bisogno di sentirsi dire, da ciascuno di noi, una semplice ma fondamentale parola: “Tu mi interessi”>.
Ascoltare e accompagnare: questo viene richiesto agli adulti, in famiglia come a scuola e in parrocchia. Certo, nessuno nasconde le difficoltà che un percorso del genere prevede e nasconde. E che comunque si possono “stanare” con la forza della preghiera e con altri suggerimenti che il vescovo Loppa fornisce nella “Lettera agli adulti”. Ne rimarchiamo uno, diretto e indispensabile, che chiama in causa ogni genitore, ogni insegnante, ogni educatore, ogni parroco e religioso: <Ci dobbiamo impegnare a proporci con una faccia diversa, più positiva, più gioiosa, più affabile e più accogliente>. Il tempo dei musi lunghi, del rinchiudersi in gusci niente affatto protettivi, è pure quello tempo inutilmente e banalmente sprecato. E non ce lo possiamo permettere, come uomini e prima ancora come cristiani.