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Igor Traboni - Giornalista per passione (e un po' anche per necessità)

Quelle piccole grandi chiese

La chiesa di Tecchiena Castello

Amo le chiese piccole. E più sono piccole, più mi sento a mio agio. E’ in quei piccoli spazi che trovo  – meglio e prima – la Grandezza che sa di Immensità. Questa nella foto, ad esempio, è la chiesa parrocchiale di Tecchiena Castello, nella campagna ciociara, e fa parte di quell’unità pastorale di Tecchiena portata avanti con autentica passione per il ministero sacerdotale dai cari don Antonio e don Giorgio. E’ una chiesa vicino casa, eppure l’ho scoperta da poco, complice il lockdown e un altro… accidenti più personale della vita. Ma già la sento come un luogo del cuore: pochi banchi, su quattro file non esagerate, e il tabernacolo lì davanti, che quasi puoi toccarlo con le mani; e sicuramente lo “tocchi” con il cuore: Ti guarda e Lo guardi, non puoi sfuggire allo sguardo in quella piccolezza di spazi.

Anche i fedeli sono quasi sempre gli stessi e li vedo attenti, proprio come la ristrettezza dello spazio impone. Non ci sono opere d’arte a distrarti, solo qualche affresco alla buona, con scena di vita campestre e paesaggi del posto; sulle vetrate i ritratti di alcuni santi, magari poco conosciuti fuori dai nostri confini provinciali, come Maria De Mattias. Il coro è di quelli che cantano e basta, senza urlare (va be’, qualche volta scappa anche a loro…) e così anche quei canti li senti davvero “vicini”, non solo per una mera questione logistica: insomma, ti viene voglia di unirti al coro, ma poi capisci che non è il caso di rompere i timpani altrui.

Ai primi banchi, di solito stazionano alcuni bambini, guidati da giovani catechiste che si vede lontano mille miglia quanto amore ci mettono, insieme al servizio liturgico sempre attento e amorevole, anche nel semplice gesto di accendere una candela, sistemare il microfono  o nel portare al sacerdote “il libro delle Messe” dimenticato in sacrestia. E anche i bambini sembrano godere di quello spazio limitato: il sacerdote è lì a due passi e quasi se lo mangiano con gli occhi, come volessero anticipare i gesti che compie. E quando c’è troppa gente (magari per una festa, per dei battesimi) i bambini vanno a sedersi proprio accanto al sacerdote: e li vedi così contenti, far festa nella festa! Il campanile pare un fiore che spunta tra gli altri fiori del giardino antistante, solo parecchio più alto; e quando le campane suonano, tutto d’intorno trema un po’, ma magari sono i fremiti dell’animo dettati da quel concerto sacro.

Tutto è così semplice, piccolo e semplice, che ti torna in mente quella canzone – la Preghiera di San Damiano, se non ricordo male – che in chiesa cantavamo da ragazzi: “E le gioie semplici, sono le più belle, sono quelle che alla fine sono le più grandi”. Più grandi, nella piccolezza che c’è.

Ecco, lo so: ho scritto cose probabilmente banali, come fossero i pensierini delle elementari. Ma per raccontare un luogo che ti è diventato del cuore, è proprio al cuore – mica ai paroloni o ai sofismi intellettuali – che devi affidarti. E al cuore non si comanda.

Ripartono “I viaggi del cuore”, con tante novità

Torna, nella domenica mattina di Rete 4,  la storica trasmissione “I viaggi del cuore”, condotta da don Davide Banzato. Tante le novità per questa edizione, ad iniziare dal progetto “Ciak si gira” con i giovani di Frosinone e un rinnovato impegno missionario con i  figli di don Bosco. Oggi su Avvenire.