Tutti gli articoli di igor1

Igor Traboni - Giornalista per passione (e un po' anche per necessità)

ALLA BANCHINA (della vita)

Canzoni appena sfiorate dai suoni:

non ho più parole per scrivere ritornelli

e a perdifiato è rimasta

solo la tristezza.

Vorrei, ma non posso, urlare:

e grida e risa di bambini

vestono di stracci

troppi carnevali sbagliati.

Il viaggio è quello che manca:

alla banchina della vita

attracco le spine del cuore

e vele strappate dai silenzi.

Già penso alla prossima malinconia.

Chiara, (papa) Francesco e l’indispensabile allegria delle suore

Questa foto l’ho scattata (va be’, anche un po’…rubacchiata da lontano, per non farmi vedere) davanti alla chiesa di Santa Chiara, ad Assisi, dove oggi papa Francesco si è recato per salutare la comunità monastica, come fuori programma della sua visita a Santa Maria degli Angeli. Sono suore, giovani e no, italiane e straniere, allegre e divertite davanti ad una bancarella, forse attratte da un souvenir un po’ strano. E ci sta questa allegria – a far davvero più bella la vita – da parte di chi si è interamente consacrato al Signore e così ai poveri, agli ultimi, ai diseredati, ai nuovi poveri di oggi. A poche decine di metri da questa piazza, e da questo scatto, c’è la comunità monastica delle Clarisse, le monache di clausura che il Papa oggi ha voluto incontrare: anche loro – e lo so bene per aver visitato diversi monasteri – vivono dei momenti di gioia autentica, di allegria, fosse anche per rincorrere una palla nel chiostro o per una barzelletta che torna alla mente dopo anni di clausura (ma non di chiusura, perché le vere grate sono le nostre).

Ecco, senza le suore “attive” e quelle di vita contemplativa, la Chiesa sarebbe più povera. E non ce la farebbe a sorreggere quei poveri di cose “materiali” che oggi il Papa ha incontrato. E quei “nuovi poveri” – di spirito, di senso – che siamo un po’ tutti noi, e non solo quelli che non ce la fanno più ad arrivare alla fine del mese.

E comunque – per concludere queste povere note – Chiara e Francesco otto secoli fa, proprio in questi stessi luoghi di Assisi, io li immagino anche così: con tanti momenti di gioia. Quella che scaturisce dal cuore e che noi abbiamo smarrito nei meandri di cuori troppo indaffarati a occuparsi di tutto e di niente.

Buttò giù il campanile pericolante: parroco a processo e ora assolto

E’ finita l’odissea giudiziaria e personale di don Domenico Buffone, della diocesi di Sora-Cassino e parroco a San Vincenzo Valle Roveto: nel 2016 fece demolire il campanile della chiesa, pericolante dal terremoto del 2009, ma venne denunciato e finì sotto processo. Ora è stato assolto da tutte le accuse. Oggi su Avvenire.

QUELLA RAGAZZA

Neppure mi guardi, eppure

fai poesia. Basterebbero

gli occhi tuoi per riempire

di parole d’amore, questo amore che

non è stato. Fossi un poeta della vita

tornerei indietro di 30 anni, per scrivere

di te, e parole d’amore all’amore

che mi torna.

(novembre 2021)

Quelle piccole grandi chiese

La chiesa di Tecchiena Castello

Amo le chiese piccole. E più sono piccole, più mi sento a mio agio. E’ in quei piccoli spazi che trovo  – meglio e prima – la Grandezza che sa di Immensità. Questa nella foto, ad esempio, è la chiesa parrocchiale di Tecchiena Castello, nella campagna ciociara, e fa parte di quell’unità pastorale di Tecchiena portata avanti con autentica passione per il ministero sacerdotale dai cari don Antonio e don Giorgio. E’ una chiesa vicino casa, eppure l’ho scoperta da poco, complice il lockdown e un altro… accidenti più personale della vita. Ma già la sento come un luogo del cuore: pochi banchi, su quattro file non esagerate, e il tabernacolo lì davanti, che quasi puoi toccarlo con le mani; e sicuramente lo “tocchi” con il cuore: Ti guarda e Lo guardi, non puoi sfuggire allo sguardo in quella piccolezza di spazi.

Anche i fedeli sono quasi sempre gli stessi e li vedo attenti, proprio come la ristrettezza dello spazio impone. Non ci sono opere d’arte a distrarti, solo qualche affresco alla buona, con scena di vita campestre e paesaggi del posto; sulle vetrate i ritratti di alcuni santi, magari poco conosciuti fuori dai nostri confini provinciali, come Maria De Mattias. Il coro è di quelli che cantano e basta, senza urlare (va be’, qualche volta scappa anche a loro…) e così anche quei canti li senti davvero “vicini”, non solo per una mera questione logistica: insomma, ti viene voglia di unirti al coro, ma poi capisci che non è il caso di rompere i timpani altrui.

Ai primi banchi, di solito stazionano alcuni bambini, guidati da giovani catechiste che si vede lontano mille miglia quanto amore ci mettono, insieme al servizio liturgico sempre attento e amorevole, anche nel semplice gesto di accendere una candela, sistemare il microfono  o nel portare al sacerdote “il libro delle Messe” dimenticato in sacrestia. E anche i bambini sembrano godere di quello spazio limitato: il sacerdote è lì a due passi e quasi se lo mangiano con gli occhi, come volessero anticipare i gesti che compie. E quando c’è troppa gente (magari per una festa, per dei battesimi) i bambini vanno a sedersi proprio accanto al sacerdote: e li vedi così contenti, far festa nella festa! Il campanile pare un fiore che spunta tra gli altri fiori del giardino antistante, solo parecchio più alto; e quando le campane suonano, tutto d’intorno trema un po’, ma magari sono i fremiti dell’animo dettati da quel concerto sacro.

Tutto è così semplice, piccolo e semplice, che ti torna in mente quella canzone – la Preghiera di San Damiano, se non ricordo male – che in chiesa cantavamo da ragazzi: “E le gioie semplici, sono le più belle, sono quelle che alla fine sono le più grandi”. Più grandi, nella piccolezza che c’è.

Ecco, lo so: ho scritto cose probabilmente banali, come fossero i pensierini delle elementari. Ma per raccontare un luogo che ti è diventato del cuore, è proprio al cuore – mica ai paroloni o ai sofismi intellettuali – che devi affidarti. E al cuore non si comanda.