Lamentarsi, e basta: vedi alla voce “accidia”

di questa Quaresima –

Ci sono parole che sappiamo appena dire, magari snocciolare per fare sfoggio di una cultura che non c’è. Poi, quando ci planano dentro, ne restiamo estasiati e vorremmo averle conosciute da sempre, perché sentiamo che possono cambiarci in meglio. Ma poi stentiamo a riconoscerle, perché oramai fanno parte di noi. Prendiamo “accidia”.

Stamattina ne ha parlato papa Francesco, tratteggiando nell’omelia il dialogo tra Gesù e il malato presso la piscina di Betzatà. Quest’ultimo, ha detto il pontefice <era malato nel cuore, era malato nell’anima, era malato di pessimismo, era malato di tristezza, era malato di accidia>. E il suo peccato era <di sopravvivere e lamentarsi della vita degli altri: il peccato della tristezza che è il seme del diavolo, di quella incapacità di prendere una decisione sulla propria vita, di guardare la vita degli altri per lamentarsi. Mi fa pensare a tanti di noi, a tanti cristiani che vivono questo stato di accidia, incapaci di fare qualcosa ma lamentandosi di tutto>.

Ecco perché stentiamo a riconoscere questo nostro peccato, così moderno, che si chiama accidia.

Finché c’è Poesia c’è…

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Una Poesia in prima pagina: roba straordinaria, praticamente inedita, un’altra piccola grande “grazia” di questo tempo così difficile. L’iniziativa è del quotidiano Avvenire (e magari farà storia del giornalismo, come quando negli anni ’70 il Corriere della Sera decise di mettere in prima una notizia sull’aumento del prezzo delle bistecche, rompendo gli schemi dell’epoca), la Poesia è di Daniele Mencarelli, fine scrittore, eccelso poeta, una storia personale fatta di rinascita dopo l’abisso. Proprio la Storia che forse un Poeta ha in serbo anche per noi…

Ps: nella mia foto, la poesia non si legge per intero, ma la trovate – e la potete anche sentire – sul sito www.avvenire.it

Roveti che non ardono

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Questa foto l’ho scattata oggi, a pochi metri da casa. Il roveto sta sempre lì, ovviamente immobile, ma per davvero: non si colora mai, a parte qualche mora quando è stagione subito còlta da mano di bambini; al massimo rinsecchisce ancora di più, oppure si bagna di piogge e temporali, con qualche lieve tremolìo quando il vento soffia forte. Anche le lucertole si riparano lì giusto se uno le sorprende sull’asfalto vicino, ma subito dopo vanno altrove, oltre, dove c’è verde e muretti al sole.

Così sono io, siamo noi: roveti che non ardono mai.

 

La vera libertà

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Ci mancano, in questi giorni difficili, certe libertà. Tutte libertà materiali. Eppure, sopraffatti e resi ciechi  da queste “necessità” (sempre, mica solo in questi giorni)  non pensiamo e non guardiamo mai a Qualcuno che ci lascia veramente liberi.

San Giuseppe, credente silenzioso. Altro che la nostra “caciara”

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Altro che un vecchio, povero artigiano: Giuseppe – San Giuseppe – era giovane, poco più grande della giovanissima Maria, la sposa che egli amò da subito, per sempre.

Giuseppe – San Giuseppe – era bravo, tanto che nella Bibbia viene indicato con un termine che, grosso modo, sta tra geometra e architetto.

Giuseppe – lo ha ricordato stamane nella Messa il vescovo Lorenzo Loppa – era “un credente silenzioso”. Tutto il contrario del nostro chiasso, della “caciara” che facciamo anche quando ci diciamo credenti.

Santi dei malati

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Mi torna in mente l’antica confidenza di un amico: <Sai – mi disse – ogni sera, prima di addormentarmi, prego i santi dei malati, di chi li cura e di chi li assiste. Così, senza aggiungere altro>.

Da stasera penso che lo farò anche io, prima di addormentarmi.