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Avvento/14 – La terza candela

Dicono che il 3 sia il numero perfetto ed in effetti qualcosa ricorre: il terzo figlio, ad esempio, visto che oramai non se ne fanno più, è un miracolo; la terza, intesa come marcia delle automobili, è invece il viatico necessario tra l’andar piano e il correre. Ma qui ci interessa soprattutto questa giornata,  terza domenica di Avvento e terza candela accesa… sperando vi sia davvero più luce ad illuminare menti, occhi ma soprattutto i cuori.

Avvento/13 – Lo sguardo che abbassiamo

Lo sguardo è “la parte del corpo” forse più importante: quando abbiamo vergogna, è lo sguardo che abbassiamo. Io da ragazzino lo facevo per nascondere il viso brufoloso: ora, da grande, abbasso spesso lo sguardo del cuore per non far vedere le mancanze. Oppure per non vedere, e basta.

Eppure uno sguardo, ripieno di un bel sorriso, è quella medicina che può far bene a chi è malato di solitudine. Servirebbero delle scuole  – con la Madonna come unica docente –  per insegnare come si (s)guarda. Oppure fermarsi, in ginocchio, davanti ad un Crocifisso che ti guarda.

Avvento/12 – Puzzle (della vita)

Non mi sono mai piaciuti granché i puzzle e da piccolo non riuscivo neppure a farli: perdevo subito la pazienza e andavo su giochi più veloci e di movimento, dal pallone alla bicicletta. Da adulto un po’ ho imparato a farli, complice anche le “dritte” di mio figlio, ma perdo ancora la pazienza quando le tessere – del cielo, del mare, dei prati – mi sembrano tutte uguali. E un po’ come succede con le tessere della vita: pazienti per quelle che contano poco o niente, ma poi perdiamo la pazienza se tocca aspettare una moglie, stare al telefono con un amico, pulire la bocca ad un anziano dopo che ha impiegato un quarto d’ora per due cucchiai di minestra. Figuriamoci poi avere la pazienza di aspettare Colui che deve nascere.

 

Avvento/11 – La cornice

Come tanti farisei, siamo sempre e solo interessati alla cornice, più che al contenuto. Certo, la cornice del cuore è l’uomo. Ma se il cuore non batte forte, puoi mettere tutti gli orpelli che vuoi, incorniciare e infiocchettare a dovere, presentarti lindo e pinto, ma poi… il cuore batte poco, quasi per niente. Ecco, se ci fosse una preghiera anche per questo, chiederei al Signore ti togliere un po’ di inutili cornici.

Avvento/10 – PADRI (ma dove siamo finiti?)

Termine oggi l’anno dedicato dalla Chiesa a San Giuseppe e quindi ai padri. In questi 365 giorni noi padri avemmo potuto cambiare il mondo se solo avessimo preso almeno una delle qualità del padre di Gesù: il silenzio, l’ascolto, il servizio, la saggezza… E invece no: complice una mentalità dominante nel mondo, ci siamo lasciati scippare questa figura e quella della famiglia. Però magari siamo ancora in tempo a rimetterci in gioco, con cuore di padri.

AVVENTO/9 – FACEVAMO “IL DESERTO”

Facevamo “il deserto”: erano giorni belli, in amicizia tra ragazzi e con Dio, spensierati davvero ma con il pensiero di fare qualcosa di bello per il prossimo. E poi, tra riflessioni, canti, gite chiassose e film, ecco “il deserto”: un giorno intero di lavoro, anche duro, nella campagna dietro il convento dove stavamo per le vacanze estive, ma sempre in silenzio.

Tempo fa sono ripassato nel paese di quel convento ma non l’ho trovato e neppure ho cercato indicazioni su Google o chiesto informazioni: sono andato oltre. Come oltre siamo andati da quel “deserto”, tutti quanti – spensierati ragazzi di allora – finiti chissà dove.

Avvento/7 – DI DOMENICA

Un po’ mi vergogno a pubblicare queste notarelle anche di domenica, giorno del Signore, quando invece dovremmo davvero farci piccoli piccoli e non dare sfogo alle nostre vanaglorie, compresa quella mia di scrivere.

Poi però penso che anche oggi troverò una chiesa ad accogliermi, un confessionale, un sacerdote alter Christus. E mi riscopro piccolo piccolo.

Avvento/6 – Sepolcri mai vuoti

Da piccolo pensavo che i cimiteri aprissero solo nei “giorni dei morti”. Andavo sempre in quello del paese di nonna Maria: poche centinaia di metri da casa, ma anche un’ora per arrivare, perché tutti si fermavano a salutarla e a scambiare due chiacchiere. E io mi sentivo importante perché stavo con una donna importante! E poi tutti a dirmi com’ero cresciuto e com’ero bello dall’ultima volta che mi avevano visto, anche se magari non era vero e ci eravamo visti pochi giorni prima. Poi, dal gabbiotto del custode del cimitero, che non c’era mai ma lasciava sempre bene aperto sul tavolo il giornale che stava leggendo,  prendevo io le chiavi della Cappella di famiglia (ricordo ancora il numero scritto a penna sul fiocchetto azzurro) per aprire il cancelletto in ferro. E anche il lumino dovevo accenderlo io, con i “prosperi” che nonna comprava dal tabacchi in piazza per il fuoco del camino e che oggi nessuno usa più, forse neppure li vendono più.

E ogni volta da nonna mi facevo raccontare le storie di parenti che stavano sepolti lì anche da un secolo, con i nomi e le date scritti a matita, oppure quella di una zia all’epoca ancora viva ma che già si era fatta incidere la lastra col suo nome, così nessuno… le avrebbe rubato il posto. Poi restavo in silenzio, a guardare la foto di nonno, che però non ho mai conosciuto, affascinato da quella divisa da maresciallo. E lì vicino c’era sempre una signora, sulla tomba del figlio morto piccolo come me, con il sepolcro adornato di bandiere della sua squadra del cuore.

Ecco, è tanto, troppo tempo che non vado più in quel cimitero, dove adesso riposa anche nonna. E penso che dovrei farlo proprio adesso, in Avvento, in questo tempo che prepara all’arrivo di Gesù, che nasce anche per accogliere tutti loro in Paradiso.