? Tra…boni e cattivi | Pagina 57

La gioia di noi tifosi fa sempre rumore

Questo “La gioia fa parecchio rumore” di Sandro Bonvissuto (Einaudi) è un libro che parla di Roma, intesa come squadra di calcio. Ma non è un libro di calcio e/o sul calcio, piuttosto è un libro sulla vita, reale e irreale (che spesso sono la stessa cosa, faccia di un’unica medaglia), e siccome il calcio fa parte della vita… Ma soprattutto questo è un bel libro, che si legge con una facilità straordinaria, come una bella manovra orchestrata da difesa, centrocampo e attacco, fino al “gol” del finale, pagina dopo pagina, azione dopo azione. E’ uno dei libri più belli che mi sia capitato di leggere in questa stagione da rinchiusi dentro casa, in una “stagione” calcistica (oramai due) in verità appannata, senza i rumori e gli odori dello stadio. Ma un bel po’ hanno provveduto queste pagine di Bonvissuto a restituirmeli.

Il libro è “profondo”, nel senso migliore del termine, e dunque – di converso – niente affatto banale, alla faccia di tutti quelli che accostano il football alla banalità e reputano banali (e quindi anche sfaccendati o scansafatiche) i tifosi di calcio.

Queste pagine sono la storia di un tifo assai particolare, quello per la Roma: particolare come lo è l’affezione per qualsiasi squadra di calcio, piccola o grande, vincitrice o derelitta in classifica, di una città da te lontana mille miglia a quella dove sei nato e cresciuto. L’affezione di un bambino – il buon protagonista di questa storia – l’amore calcistico e filiale di un padre, di uno stuolo di parenti, di un’intera borgata di una Roma di tanti anni fa, pure questa tratteggiata in maniera deliziosa dall’Autore. In quella casa, tra quella gente, la squadra della Roma è tutto: l’emozione per la prima bandiera da sventolare, le ore ad ascoltare la radio, gli scudetti che non arrivano e, anzi, la classifica che la devi guardare spesso nella parte destra dei servizi alla tv in bianco e nero. Poi arriva “il brasiliano”, uno degli elementi centrali di questo libro: mai citato per nome, anche se quella “r” al posto “ della “l” come viene subito ribattezzato (e ovviamente la copertina del libro) fa capire che si tratta proprio di “FaRcao”: il bambino protagonista impazzirà per lui, ma soprattutto impazzirà per la vita, quella senza scorciatoie e mezze misure, fatta di tanti universi nell’universo unico e spesso solitario di una partita di calcio, nelle parole poche ma incisive della mamma (a proposito: quante sono le mamme che di calcio apparentemente sanno poco ma che in realtà sanno più di tutti noi messi assieme?), dello strano personaggio chiamato “Barabba”, che al bambino tifoso svelerà la magia del numero 5, quello indossato dal brasiliano (scopro dalle note biografiche che l’Autore è laureato in filosofia, ma nel mio piccolo lo avrei giurato dopo aver letto il libro).

Alla fine della lettura ti accorgi ancora una volta, da innamorato del pallone, che il calcio è proprio questo: una gioia – piccola o grande non importa – che fa rumore. Anche in noi bambini diventati parecchio, forse troppo, grandi.

Ps: come in tanti sanno, non sono tifoso della Roma, anche se da sportivo riconosco che in giallorosso sono passati personaggi con pochi eguali, da Liedolhm a Di Bartolomei, da Dino Viola a Francesco Totti. Anzi, fatti salvi pochi ma deliziosi amici della “magggica”, i tifosi della Roma non riscuotono la gran parte delle mie simpatie, in questo accomunati all’altra squadra cittadina e della regione. Tanto più che spero, ovviamente, che un giorno la seconda o la prima squadra della regione diventi il mio Frosinone. Anche perché al primo anno di serie A la Roma vinse al Matusa solo grazie ad un bel po’ di errori arbitrali, per dire. Però anche quel giorno la gioia fece assai rumore: andare e tornare dallo stadio con amici di Roma e della Roma incantati dal nostro pubblico, da quello stadio piccolo Maracanà dove un certo numero 5 si sarebbe sicuramente trovato come a casa.

Per un’altra strada (e che diventi la nostra)

Quello di Artaban era nome assai vago nella mia memoria, forse riconducibile alle scuole elementari delle brave suore di santa Maria De Mattias, quando il Natale era davvero una festa che durava più giorni e così l’arrivo dei magi, compreso il quarto, ovvero Artaban. Che in realtà non arrivò mai. O forse è davvero arrivato, nel senso che ha comunque compiuto il cammino della vita – e di una vita – che porta al Mistero. Un cammino che racconta da par suo l’amico e collega Mimmo Muolo, vaticanista di Avvenire e già autore di altri fortunati libri, in questo   splendido “Per un’altra strada – La leggenda del Quarto Magio”, un romanzo-regalo da mettere sotto l’albero.

Muolo racconta dunque il viaggio in perenne ritardo di Artaban e le pagine si fanno parabola del viaggio di ognuno di noi, con elementi imprescindibili, narrati sotto una bella scorza evangelica che non fa mai male (e la cui rimozione ci ha portati al mezzo disastro contemporaneo di perdita di tanti Valori, ma questo è un altro discorso…).

Gli elementi che disegnano la traiettoria di questo racconto sono diversi e lasciano il segno attraverso le parole di Muolo, ad iniziare ovviamente dalle figure degli altri tre magi. Come Baldassarre che ad Artaban racconta: <Più avanzo negli anni, più mi convinco che Dio ha creato i fiumi non solo per darci da bere e per irrigare la terra bruciata dal sole, ma anche perché noi li imitassimo. Pure la nostra esistenza scorre tra gli argini delle vite altrui. E s ognuno tenesse la sua acqua per se, il mondo sarebbe finito da tempo>. Quel Baldassarre che in dono recherà mirra e al quale Muolo fa dire ancora: <Tempo verrà in cui l’incenso a lui gradito sarà il profumo della misericordia, l’oro il grido dei poveri da ascoltare e consolare e la vera mirra sarà l’eterno tempio nel corpo di ogni uomo>.

E’ ancora Baldassarre che si volterà più volte, sperando di veder arrivare Artaban, perché tutti siamo attesi lungo una strada che non è altro che l’invito a non perderci più. E Artaban, oramai vecchio anche nel racconto di Muolo, la sua strada la troverà, eccome se la troverà, nelle pagine finali e oltremodo coinvolgenti di questo libro.

C’è poi l‘elemento del “pensare”, che l’Autore tratteggia così: <Un pensiero non lo vedi, non lo tocchi, non ha odore né consistenza, ma alla fine precede ogni azione umana>.

E naturalmente c’è l’elemento dominante del “viaggio”… <e ogni viaggio ha il profumo della meta>, dirà Gaspare che proprio il profumo dell’incenso porterà in dono al Bambino <e per un Dio non c’è regalo più appropriato>.

E poi ancora: Il tempo e il suo senso. Quel senso del tempo che, assieme al valore del corpo e alla simbologia della strada, per Artaban non saranno più elementi astratti <divenendo parte della mia storia e del mio bagaglio di esperienze>. E qui, ancora una volta, prende la voglia matta di diventare Artaban, di ritrovare la stella, di seguirla in tutti i tornanti della vita, compreso quel deserto (e quanti deserti attorno a noi, ma non ancora dentro) che Artaban attraverserà nel rincorrere la Sacra Famiglia, dopo che a Betlemme è arrivato in ritardo. Fino al Golgota, quando Gesù inviterà Artaban a voltarsi per guardare comunque i doni preziosi che, nel cammino, ha saputo dispensare. E davvero sembra che inviti ognuno di noi a fare altrettanto, o almeno a darsi da fare per non sprecare tanti doni nel viaggio della vita.

Mimmo Muolo, Per un’altra strada, Paoline, 2020, pagine 224, euro 16