QUELLA RAGAZZA

Neppure mi guardi, eppure

fai poesia. Basterebbero

gli occhi tuoi per riempire

di parole d’amore, questo amore che

non è stato. Fossi un poeta della vita

tornerei indietro di 30 anni, per scrivere

di te, e parole d’amore all’amore

che mi torna.

(novembre 2021)

Quelle piccole grandi chiese

La chiesa di Tecchiena Castello

Amo le chiese piccole. E più sono piccole, più mi sento a mio agio. E’ in quei piccoli spazi che trovo  – meglio e prima – la Grandezza che sa di Immensità. Questa nella foto, ad esempio, è la chiesa parrocchiale di Tecchiena Castello, nella campagna ciociara, e fa parte di quell’unità pastorale di Tecchiena portata avanti con autentica passione per il ministero sacerdotale dai cari don Antonio e don Giorgio. E’ una chiesa vicino casa, eppure l’ho scoperta da poco, complice il lockdown e un altro… accidenti più personale della vita. Ma già la sento come un luogo del cuore: pochi banchi, su quattro file non esagerate, e il tabernacolo lì davanti, che quasi puoi toccarlo con le mani; e sicuramente lo “tocchi” con il cuore: Ti guarda e Lo guardi, non puoi sfuggire allo sguardo in quella piccolezza di spazi.

Anche i fedeli sono quasi sempre gli stessi e li vedo attenti, proprio come la ristrettezza dello spazio impone. Non ci sono opere d’arte a distrarti, solo qualche affresco alla buona, con scena di vita campestre e paesaggi del posto; sulle vetrate i ritratti di alcuni santi, magari poco conosciuti fuori dai nostri confini provinciali, come Maria De Mattias. Il coro è di quelli che cantano e basta, senza urlare (va be’, qualche volta scappa anche a loro…) e così anche quei canti li senti davvero “vicini”, non solo per una mera questione logistica: insomma, ti viene voglia di unirti al coro, ma poi capisci che non è il caso di rompere i timpani altrui.

Ai primi banchi, di solito stazionano alcuni bambini, guidati da giovani catechiste che si vede lontano mille miglia quanto amore ci mettono, insieme al servizio liturgico sempre attento e amorevole, anche nel semplice gesto di accendere una candela, sistemare il microfono  o nel portare al sacerdote “il libro delle Messe” dimenticato in sacrestia. E anche i bambini sembrano godere di quello spazio limitato: il sacerdote è lì a due passi e quasi se lo mangiano con gli occhi, come volessero anticipare i gesti che compie. E quando c’è troppa gente (magari per una festa, per dei battesimi) i bambini vanno a sedersi proprio accanto al sacerdote: e li vedi così contenti, far festa nella festa! Il campanile pare un fiore che spunta tra gli altri fiori del giardino antistante, solo parecchio più alto; e quando le campane suonano, tutto d’intorno trema un po’, ma magari sono i fremiti dell’animo dettati da quel concerto sacro.

Tutto è così semplice, piccolo e semplice, che ti torna in mente quella canzone – la Preghiera di San Damiano, se non ricordo male – che in chiesa cantavamo da ragazzi: “E le gioie semplici, sono le più belle, sono quelle che alla fine sono le più grandi”. Più grandi, nella piccolezza che c’è.

Ecco, lo so: ho scritto cose probabilmente banali, come fossero i pensierini delle elementari. Ma per raccontare un luogo che ti è diventato del cuore, è proprio al cuore – mica ai paroloni o ai sofismi intellettuali – che devi affidarti. E al cuore non si comanda.